domenica 6 novembre 2016

I Filobus della Rimini – Riccione


Di Roberto Renzi  - 2/10/2016
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Rassegna delle macchine che hanno circolato sulla Rete Filoviaria Riminese dal 1939 al 2009.

Foto 1:
Il FIAT 656E è il modello filoviario più evoluto del periodo che precede la Seconda Guerra Mondiale. La carrozzeria CaNSA di Novara vi adattò diversi tipi di carrozzeria, il cui aspetto, inizialmente squadrato, evolse nelle forme più morbide della versione prodotta dal 1938, oltre che per la Rimini–Riccione, per varie reti italiane (Torino, Firenze, Venezia Mestre) e per la filovia Anzio–Nettuno (quattro vetture che nel dopoguerra furono rilevate dalla città di Livorno). Vetture similari furono vendute anche all’estero (Atene).
Contrariamente ad altre vetture prodotte in quegli anni, dotate di posto guida centrale, la guida era a destra.
La cassa, interamente metallica con ossatura in profilati d’acciaio saldati elettricamente, poggiava su un telaio in lamiera stampata, munito di rinforzi disposti a croce di Sant’Andrea; le sospensioni erano a balestra. All’interno, dei 24 posti a sedere con sedute e schienali realizzati in legno e privi di imbottitura, 16 erano disposti trasversalmente ed 8 longitudinalmente, dei quali 3 sui “passaruota” anteriori e 5 sui posteriori dove, sulla fiancata destra, si trovava anche il sedile del bigliettaio. I sedili disposti tra i due assi lungo la fiancata sinistra erano tutti doppi (6 coppie). Tutti i finestrini, tranne quello in corrispondenza del posto bigliettaio, erano formati da due cristalli, di cui uno mobile con bloccaggio a cremagliera; lo sblocco avveniva agendo su due levette poste sul bordo superiore. Questa soluzione avrebbe costituito lo standard per i mezzi urbani fino alla fine degli anni sessanta.
L’avviatore automatico era di tipo PCM (Pneumatic Control Master) e consisteva di un cilindro combinatore pneumatico comandato dal “pedale di marcia”, che determinava nelle posizioni 1 e 2 l’inserimento di tutte o di parte delle resistenze, nelle posizioni 3, 4 e 5 (dette di bassa, media e alta accelerazione) la connessione in parallelo dei due motori tipo CV 1131. Questi erano calettati su ciascun semiasse posteriore, che era del tutto indipendente: si aveva cioè una sorta “differenziale elettrico”. La frenatura esclusivamente pneumatica (Westinghouse) e la completa mancanza di scaldiglie interne (almeno fino agli anni sessanta) erano due aspetti non particolarmente felici di queste vetture. I tamburi del freni, che all’uscita dal deposito nelle mattinate invernali erano freddi e poco efficienti, tendevano poi a surriscaldarsi, dovendo contrastare la marcia favorita dall’effetto volano del motore elettrico.
Il frontale di questi filobus era caratterizzato dall’abbondante ricasco del tetto che ospitava l’indicatore di percorso (inizialmente munito di cartello metallico, sostituito nel dopoguerra da una tela a scorrimento) cui sottostavano due cristalli apribili all’infuori per convogliare la corrente d’aria verso il conducente e bloccabili in posizione aperta per mezzo di galletti. (Foto collezione R.R.)


Foto 2:
Le unità 1009 e 1010, danneggiate piuttosto gravemente dagli eventi bellici, furono inviate alla Carrozzeria Dalla Via di Schio, che le riconsegnò ricostruite senza particolari varianti. Tra il 1964 e il 1966 le vetture 1001, 1004 e 1007 furono sottoposte ad una completa revisione della cassa, che comportò la trasformazione del frontale, con l’adozione di due ampi cristalli fissi al posto di quelli d’origine e l’allargamento della finestrella dell’indicatore di percorso. Nella foto il filobus 1001 a Riccione il 22 agosto 1968 (collezione Gregoris)







Foto 3:

Un’estetica simile ai 656E avevano le due vetture del più corto e datato modello 635E, del quale furono forniti dalla FIAT esemplari molto simili, ma con diverso equipaggiamento elettrico, alle reti di Ferrara e Bari. A parte le dimensioni, le differenze tra i due modelli riguardavano soprattutto la parte meccanica: a differenza dei 656E, i 635E avevano infatti i due motori (del tipo CV 1035) racchiusi in una carcassa unica, un solo albero motore e differenziale a ingranaggi epicicloidali al ponte posteriore.
Questi filobus, dalla capacità assai limitata, furono subito oggetto di critiche anche per lo scarso confort di marcia e finirono per essere chiamati affettuosamente dai tranvieri “Caroline”. Nelle intenzioni dovevano servire per le corsette tra Rimini centro e Marina; questo tipo di servizio non fu però più effettuato nel dopoguerra e così le unità 1005 e 1006 (una numerazione poco razionale, che spezzava la continuità del gruppo di filobus 656E) dovettero farsi carico delle corse Rimini–Bellariva e Rimini–Miramare, spingendosi in caso di necessità fino a Riccione. Nei mesi invernali, ovviamente, le “Caroline” venivano accantonate: una controprova è data dall’annotazione «scaldiglie non esistono» apposta a penna sul libretto delle visite e delle prove delle due vetture nel corso dell’ultima visita dell’Ispettorato compartimentale della Motorizzazione Civile cui furono sottoposte, il 15 luglio 1966, mentre i 656E ne erano stati dotati alcuni anni prima. L’unità 1005 rimase inservibile fino al 1950 per danni di guerra; alla ricostruzione provvide l’officina aziendale.
L’accantonamento definitivo dei 635E, cui fece seguito la demolizione, avvenne al termine della stagione estiva 1967. All’arrivo dei filobus Alfa Romeo-CGE ex Brescia, la stessa numerazione 1005-1006 fu trasferita (anche materialmente, cioè con le cifre metalliche smontate dagli stessi 635E) sulle prime due vetture di questo tipo entrate in servzio. Nella foto di Davide Minghini, una "Carolina" in piazza Tre Martiri mentre si appresata ad effettuate una corsa bis per Bellariva il 2 settembre 1964.

 
Foto 4: Fiat 656 (Disegno R. Bugli)
 
Foto 5: Fiat 635 (Disegno R. Bugli)

Foto 6: Caratteristiche tecniche dei filobus 656E e 635E.


 
Foto 7:
Con i modelli 401UM (autobus) e 2401FM (filobus), lanciati dalla Casa torinese nei primi anni cinquanta, si realizzò per la prima volta in Italia sia la differenziazione dei modelli pensati per il servizio urbano rispetto alle “corriere” extraurbane, sia l’unificazione del telaio per la costruzione di autobus e di filobus.
Tra le due versioni, la prima ad essere prodotta fu proprio quella filoviaria: con sedici 2401FM, dotati di equipaggiamento elettrico TIBB, fu inaugurata il 25 ottobre 1953 la rete urbana di Parma. Nello stesso anno si dotarono di filoveicoli del medesimo tipo le città di Modena (due unità con parte elettrica Marelli) e Avellino (un’unità equipaggiata Ocren) e l’ATM di Torino ricevette le prime vetture della serie 1100–1111, che si distinguevano dalle precedenti per l’equipaggiamento CGE. La FIAT aveva infatti mirato all’obiettivo della intercambiabilità tra i diversi equipaggiamenti, avendo predisposto in collaborazione con le principali Case Elettromeccaniche l’unificazione degli attacchi dei principali organi costituenti l’equipaggiamento di trazione.
Alla CGE si rivolsero le società di gestione partecipate dalla FIAT per la motorizzazione dei 2401 destinati a potenziare il servizio filoviario nelle città di Sanremo e Rimini. Nel 1954 fu consegnato alla STEL, esercente la rete della città ligure, l’intero gruppo 51–56, mentre i cinque filobus per la Rimini–Riccione (SITA) furono prodotti in tre lotti e la consegna, iniziata nel 1954, terminò nel 1956.
I filobus modello 2401 costruiti per Rimini (denominati nei documenti ufficiali “2401 FU” invece che “FM”) erano equipaggiati con il motore CV 1218, a quattro poli, tarato alla potenza di 120 kW e in grado di ricevere una corrente fino a 200 Ampère a 1850 giri al minuto ed alla tensione continua di 600 Volt. L’equipaggiamento di comando, tipo MRA, era costituito da una serie di contattori a comando elettromagnetico che, sotto l’azione del controller ausiliario manovrato a pedale e di relais di accelerazione e marcaposizioni, determinavano l’inserimento e il disinserimento delle varie resistenze e l’indebolimento di campo del motore, nella sequenza necessaria per ottenere le variazioni di velocità desiderate.
Un motocompressore CP 37 assicurava il funzionamento degli impianti pneumatici per la frenatura ed il comando delle porte. Il pedale del freno, nella prima posizione, metteva in azione la frenatura elettrica. Questa era ottenuta per mezzo dello stesso motore di trazione, che eccitato con la corrente a 24 V della dinamo, funzionava da generatore, corto-circuitandosi su un gruppo delle resistenze di avviamento. Alla frenatura elettrica si aggiungeva, nella seconda posizione, l’effetto del sistema ad aria compressa (Westinghouse).
Tra le caratteristiche innovative, comuni al modello 401UM (autobus), spiccava il ponte posteriore ribassato, ottenuto con un gruppo di riduzione conico centrale e gruppi di riduzione cilindrici adiacenti alle ruote, che consentiva di mantenere tutto il pavimento del mezzo ad altezza costante con soli due gradini di accesso. Le sospensioni erano costituite da molle a balestra semiellittiche ancorate alla cassa e integrate da ammortizzatori telescopici a doppio effetto.
Nella foto, la vettura 1014 a Riccione in epoca SITA (1959). Collezione R.R.


Foto 8:
La carrozzeria, prodotta dalla CaNSA di Novara, era realizzata con lamiere di alluminio rivettate ed era unita rigidamente al pianale (carrozzeria semiportante).
Al posto guida di questo modello si accedeva per mezzo di una porta a battente: per salire il guidatore si appoggiava, con il piede sinistro, sul mozzo della ruota. La porta era necessaria perché nella versione autobus il motore Diesel, collocato a sbalzo sull’avantreno, impediva l’accesso dall’interno. Le più modeste dimensioni del motore elettrico nella versione filoviaria facevano all’opposto apparire vuoto lo spazio a sinistra del conducente: quasi un metro e mezzo di lunghezza “non utile”!
I venti sedili, nella versione riminese non imbottiti e realizzati in bachelite color marrone scuro, erano disposti secondo il senso di marcia (a coppie quelli lungo il lato destro); se disposti sui passaruota erano invece orientati ortogonalmente al senso di marcia. Di una leggera imbottitura era dotato il posto del bigliettaio, costituito dal classico seggiolino ribaltabile.
I finestrini erano sovrastati da alette parapioggia in materiale sintetico. L’illuminazione interna era ottenuta con due file di lampade a incandescenza, innestate a baionetta su plafoniere prive di schermo di protezione, una tipologia che caratterizzerà tutti i mezzi acquistati dall’azienda riminese fino alla fine degli anni sessanta, e in qualche caso anche oltre. Il bigliettaio disponeva di una lampada supplementare a comando individuale.
Disegno A.Betti Carboncini

Foto 9:
I filobus 2401 destarono, a Rimini come altrove, l’ammirazione del pubblico per l’eleganza e la modernità delle linee. Il design – che CaNSA riprenderà nei successivi modelli da 11 metri (autobus 411 e filobus 2411) – era quanto di meglio potesse esprimere l’evoluzione stilistica degli anni cinquanta: la cassa aveva linee morbide e avvolgenti, con la caratteristica calandra in rilievo intorno ai gruppi ottici. La distanza tra i finestrini variava leggermente, in modo da farli apparire, grazie anche alla sagomatura del bordo, come accoppiati a due a due. La coloritura, nei due toni di verde prescritti dalla legge per i mezzi urbani, in origine era impreziosita da un elegante fregio (soppresso poi negli anni sessanta), della stessa tonalità di verde della parte bassa della cassa: tracciata sul ricasco del tetto, questa decorazione conferiva a tutta la carrozzeria una linea filante ed “aerodinamica”.
La ricoloritura in arancione-crema fu adottata, nel 1971, sulla sola unità 1011; le altre giunsero con la livrea “biverde” fino alla fine dei loro giorni.
Foto N. Bianchini, piazza Tripoli 1974 (si notino gli scambi aerei soppressi proprio in quell'anno).

 
Foto 10: Scheda tecnica dei filobus FIAT 2401FU.

 
Foto 11:
L' "Ammiraglia".
Il telaio FIAT 411-2411, in produzione dagli anni cinquanta e derivato dal 401-2401, a partire dal 1963 fu vestito dalla carrozzeria Menarini con una cassa dall’estetica particolarmente felice, che ancora oggi desta ammirazione e che a suo tempo valse all’unità 1041 dell’ATAM il soprannome di “Ammiraglia” della flotta filoviaria riminese.
Le reti di Modena, Parma, San Remo e (limitatamente a un solo esemplare ciascuna) Perugia e Rimini furono destinatarie di questo modello. Per uniformità con i filobus delle generazioni precedenti, la vettura costruita per l’ATAM di Rimini ricevette un equipaggiamento elettrico CGE (motore tipo CV 1225T) con avviatore MRA; il combinatore di manovra, azionato a pedale, realizzava 11 posizioni di avviamento.
Analogamente ai filobus tipo 2401, la prima e l’ultima di tali posizioni erano “a campo shuntato”, collegate cioè in parallelo ad una resistenza (shunt) che escludeva delle sezioni di avvolgimento di campo dei motori, permettendo così una maggiore accelerazione.
Le altre caratteristiche tecniche, come la frenatura pneumatica ed elettrica, non erano dissimili da quelle del modello 2401. Lo schema di coloritura originale era il consueto doppio verde.
Foto Gregoris, Riccione 1968.


Foto 12:
L’esemplare costruito per la Rimini–Riccione si distingueva da quelli consegnati alle altre reti italiane per un leggera modifica (qualche centimetro in meno) all’altezza della cassa, misura ritenuta necessaria affinché il filobus potesse transitare senza problemi nel sottopassaggio. Esteriormente, ciò comportò l’adozione di cristalli frontali a superficie unica, senza i due “vetrini” sul bordo superiore che caratterizzavano la cassa standard prodotta da Menarini, nelle sue linee generali identica per il filobus 2411 e per l’autobus 411 (presente pure nel parco ATAM con le unità 1023 e 1024). Questa leggera modifica alle dimensioni generali ebbe l’effetto di rendere ancor più sobria e filante la linea della 1041.
Superata la visita per l’ammissione al servizio il 23 luglio 1964 e subito considerata dai tranvieri un mezzo eccezionale (era il primo filobus da undici metri e il primo dotato di servosterzo), la vita operativa dell’”Ammiraglia” ATAM fu relativamente breve.
Disegno R. Bugli.

Foto 13:
Ricolorita in arancio-crema durante la revisione generale del febbraio 1973, prestò servizio fino al giugno 1978. Non riuscì ad evitare l’accantonamento e la successiva cannibalizzazione, per donare motore ed organi di presa di corrente agli ultimi filobus Volvo in costruzione presso la Mauri & C. di Desio. Il relitto della 1041, verso il quale i guidatori filoviari – un po’ delusi dall’esordio dei nuovi filobus – rivolgevano sguardi nostalgici («almeno quella si poteva salvare!»), restò nel cortile della sottostazione di viale Cappellini fino al 1981, quando il telaio venne alienato come parte di ricambio all’azienda di San Remo, città nella quale i 2411 Menarini avrebbero continuato a funzionare fino al 1992.
Pur dotata di servosterzo, la vettura 1041 non possedeva un raggio di volta maggiore di quello delle consorelle da dieci metri e mezzo 1011–1015. Il tranviere particolarmente bravo era quello che riusciva a farle compiere “di prima”, senza nemmeno un metro di retromarcia, lo stretto anello del capolinea di Riccione!
Foto N. Bianchini in piazza Tre Martiri, maggio 1978.


Foto 14: Dati tecnici della vettura 1041.

Foto 15: Il modello in scala 1:87 della 1041 costruito da Enrico Nigrelli.

Foto 16:
Tra il 1959 e il 1961 la carrozzeria Casaro di Torino consegnò all’Azienda Servizi Municipali di Brescia (SSMM, poi ASM) otto filobus costruiti con struttura a cassa portante “Tubocar” su telaio Alfa Romeo 910 ed equipaggiati con motore CGE CV 1227A. Il sistema di avviamento era il collaudato MRA, con 7 contattori per l’esclusione delle resistenze.
Si trattava di vetture molto innovative per l’epoca, munite di guida a sinistra e tre porte doppie per la movimentazione dei passeggeri, la quale risultava agevolata anche dal piano di calpestio che, sebbene molto elevato (circa un metro) rispetto al piano stradale, si trovava ad altezza costante per tutta la lunghezza della vettura.
L’assorbimento massimo di corrente era di 190 Ampère a 1950 giri al minuto. I dispositivi di frenatura erano costituiti da un freno di servizio pneumatico tipo Westinghouse agente su tutte le ruote con comando a pedale, integrato da un rallentatore elettrodinamico di concezione simile a quello dei filobus FIAT 2401; anche il motocompressore era dello stesso modello CP 37.
I sedili erano del tipo con ossatura metallica, seduta e schienale in laminato, diffusosi un po’ su tutti i mezzi urbani all’inizio degli anni sessanta. Un particolare curioso era… lo schienale del sedile del bigliettaio, imbottito nei cinque esemplari costruiti nel 1959 e costituito da un pezzo di legno sagomato nei tre del 1961.
Nella foto, la vettura 1005 il 25 agosto 1968, al capolinea di Miramare (foto Perego)



Foto 17:
La foto, tratta da una pubblicazione dell'epoca, mostra l'igegnoso sistema, inventato dall'officina aziendale, con il quale furono trasferite a Rimini le otto vetture filoviarie. Si trattava di un motogeneratore montato su un carrello (la "biga"), che forniva al filobus la corrente necessaria alla marcia.
I filobus Alfa Romeo, una volta trasferiti a Rimini nell’inverno 1967-’68 e sottoposti ad un leggero restyling (la modifica più evidente fu la semplificazione dell’indicatore di linea anteriore, con soppressione del cassonetto portante la veletta del numero, sovrapposto a quella con l’indicazione della destinazione), furono immessi in servizio un po’ alla volta. I primi due furono, al principio dell’estate 1968, gli ex ASM 57 e 58, che assunsero la numerazione 1005 e 1006, già dei FIAT 635E, prime “vittime sacrificali” dei nuovi venuti.


Foto 18:
L’unità 1005, ricolorita nel 1972 in arancione e crema, fu anche l’ultima a essere dismessa. Insieme alla 1014 ed alla 1041 ebbe, per così dire, il privilegio di circolare per qualche settimana (tra i primi di maggio e i primi di giugno del 1978) insieme ai nuovi filobus Volvo.
In arancione e crema era verniciata – fin dal giorno del collaudo per l’ammissione in servizio (18 giugno 1970) – pure la vettura 1043 (nella foto, ex ASM 64), ultimo filobus Alfa Romeo a diventare “riminese” e, insieme alla 1042 (ex ASM 62) entrata in servizio il 24 luglio 1969, uno dei due a non aver ricevuto il numero di un filobus della dotazione d’origine del 1939. Fino all’estate 1971 risultavano infatti ancora nel parco quattro FIAT 656E (1004, 1007 e 1008, più la 1001 accantonata fuori uso), le cui matricole non verranno “ereditate” che dai filobus Volvo.
La marcia degli Alfa Romeo, la cui meccanica era particolarmente raffinata, si rivelò alquanto più dolce di quella dei 2401 e dello stesso 2411, che all’avvio riservavano ai passeggeri un piccolo scossone e il cui sistema di comando si “faceva sentire” con il caratteristico ticchettìo originato dal disinserimento delle resistenze. La “voce” delle “bresciane” era all’opposto una modulazione continua, addirittura un vero e proprio sibilo nell’unità 1006!
Foto D. Minghini.

Foto 19:
Marina Centro, 1973. La "bresciana" 1003 in sosta alla fermata 10 (foto N. Bianchini).
Di seguito, la rinumerazione delle varie vetture nel passaggio da Brescia a Rimini:
ATAM 1002 ex ASM 59
ATAM 1003 ex ASM 63*
ATAM 1005 ex ASM 57
ATAM 1006 ex ASM 58
ATAM 1009 ex ASM 61
ATAM 1010 ex ASM 60
ATAM 1042 ex ASM 62*
ATAM 1043 ex ASM 64*
I filobus con l'asterisco (*) erano stati consegnati all'ASM nel 1961; gli altri erano del 1959.


Foto 20: dati tecnici filobus “ex Brescia”.

Foto 21:
Il 30 maggio 1973 il capo deposito dell’ATAM effettua una visita all’AMT di Genova. Sono gli ultimi giorni di attività delle filovie genovesi (le ultime due linee cesseranno il 10 giugno) e tra le circa settanta vetture filoviarie ancora esistenti nelle rimesse della città della Lanterna, tutti mezzi con almeno venti anni di anzianità, alcune si trovano nella condizione di poter essere alienate.
Tra queste, i tre filobus tipo FIAT 668F/210 del 1953, ultimi rimasti del gruppo 2226–2230, dopo la vendita alla filovia di Chieti delle unità 2227 e 2230, avvenuta nel 1963. Poiché nello stesso anno la 2229 fu rinumerata 2227, i numeri dei tre filoveicoli sono 2226, 2227 e 2228.
Comincia così, con la verifica della quota massima di ingombro verticale (necessaria per la compatibilità con l’altezza del sottopassaggio), la storia del trasferimento a Rimini di questi mezzi, che sulla rete del capoluogo ligure avevano fatto servizio in particolare sulle linee del levante.
Nella sua relazione alla direzione, il capo deposito rileva che occorre attuare un leggero abbassamento dell’altezza massima da terra, dato che quella ammessa è di 3,52 metri, e dichiara che, nonostante la tensione nominale d’esercizio inferiore (550 Volt a Genova), i tre filobus sono utilizzabili sulla Rimini–Riccione.
Il trasferimento avviene tra la fine di giugno e l’inizio di luglio: le vetture, all’apparenza molto più antiquate degli stessi FIAT 2401, sono accolte nel deposito di viale Baldini dalla perplessità dal personale. I sedili di legno logori, il posto guida che ricorda quello dei mezzi d’anteguerra suscitano facili battute… Anche l’equipaggiamento elettrico TIBB (motore tipo GLM 1304C e apparato di azionamento APNLF) è del tutto sconosciuto ai tecnici, abituati ad avere a che fare con componenti CGE.
L’impiego dei tre 668 fu limitato a poche settimane tra il settembre 1973 e l’agosto 1974. Seguì un lungo periodo di accantonamento lungo i viali della Marina fino alla formale cessazione dal servizio che avvenne nel 1976. Pur essendo i gruppi elettrici di un altro costruttore, anche le parti dei tre “genovesi”, opportunamente rigenerate, furono inviate all’Ansaldo (Società “erede” della tecnologia CGE) per essere adoperate nell’allestimento dei filobus della nuova generazione.
Foto Aberson (coll. Gregoris), a Miramare luglio 1974. Si noti che sulla fiancata vi è ancora lo stemma della città di Genova.


Foto 22: dati tecnici filobus “ex Genova”.


Foto 23: Filobus Fiat 688.



Foto 24:
FILOBUS MAURI-ANSALDO-VOLVO "R59" (1976-2009)
L’autobus urbano B59 fu prodotto in Svezia da Volvo tra il 1970 e il 1980 ed era caratterizzato da un telaio semiribassato, a struttura saldata di tubi quadri e rettangolari in acciaio, con il motore alloggiato nella parte posteriore ed il piano di calpestio interno a 58 cm dal suolo (un valore eccezionale per l’epoca) per due terzi della lunghezza complessiva. Un'altra caratteristica rivoluzionaria era il ristretto raggio di volta ottenuto grazie alla possibilità delle ruote anteriori di sterzare fino a 60°.
Rivestito da diversi tipi di carrozzeria, il Volvo B59 venne venduto in tutto il mondo, ma in Italia giunse solo nella versione filoviaria, versione peraltro non prodotta in alcun altro paese.
Il primo filobus su telaio B59-59 fu l’esemplare unico costruito per l’Azienda Trasporti Municipale (ATM) di Milano nel 1975, numerato 001. In questo filobus il motore di trazione era del tipo CGE CV 1227A da 110 kW e l’avviatore elettropneumatico Marelli VASD; la carrozzeria, firmata dalle Officine Meccaniche della Stanga (Padova), era in lega leggera.
Sulla stessa base nel 1976 la Mauri & C. di Desio costruì per l’ATAM il filobus 1001, con apparecchiature elettriche Ansaldo. Sul nuovo filoveicolo, che ricevette la denominazione commerciale “R59” (in omaggio alla città di Rimini), la cassa era costituita dall’unione mediante saldatura di profili estrusi in lega leggera di alluminio, magnesio e silicio (norma UNI 3569-66), installati sul telaio previa applicazione delle condotte per i cavi dell’alta e bassa tensione, realizzate in acciaio e PVC.
La stessa struttura venne applicata alle successive sedici unità costruite per l’azienda riminese ed alle otto messe in cantiere alcuni anni dopo per la città di Cremona. In riva all’Adriatico, la vita operativa di questi mezzi è stata lunghissima: le ultime corse di un R59 sulla filovia Rimini–Riccione sono del settembre 2009.

Foto 25:
Ma torniamo al prototipo del 1976 (1001), che qui vediamo il giorno della presentazione alla cittadinanza, 22 giugno 1976 (foto D. Minghini). Inizialmente non era provvisto di “marcia autonoma” e presentava molte differenze rispetto alle unità prodotte in seguito. Il filobus tornò alla Mauri a fine anno e solo nel 1978 riapparve per le vie di Rimini e di Riccione. Prima del suo rientro in servizio, fu notevolmente modificato per renderlo simile alle unità “di serie”. Oltre all’installazione del gruppo ausiliario per il funzionamento fuori dalla rete aerea, di cui si dirà tra poco, fu rivisto l’arredamento interno (quattro posti a sedere in meno), la porta centrale – diventata di salita – divenne rototraslante verso l’interno anziché verso l’esterno e fu montato un sistema televisivo a circuito chiuso per il controllo della porta posteriore. Le resistenze, inizialmente installate nel sottocassa, furono trasferite in un cassone posto sull’imperiale.
Dopo le suddette modiche, quasi solo la coloritura in arancione contraddistingueva la 1001 dalle unità consorelle, ma anche questa caratteristica fu perduta nel 1989, con l’adeguamento al giallo arancio ministeriale.




Foto 26:
Fu resa uguale alle altre vetture anche la 1002, “nata” già in giallo arancio ma che inizialmente presentava, come lo stesso prototipo, due fasce color grigio chiaro che correvano lungo la parte bassa della cassa e lungo il ricasco del tetto (vedi questa foto Minghini, ottobre 1977). La 1002 si distingueva dalle altre unità anche per i mancorrenti interni non bruniti.
Non solo la carrozzeria in alluminio, ma anche l’avviatore “a logica statica” costituiva una parte innovativa del progetto. L’Ansaldo Società Generale Elettromeccanica, avendo incorporato la Divisione beni strumentali della CGE di Milano e la Società Ansaldo-San Giorgio di Genova, poteva vantare negli anni settanta una rilevante esperienza nella produzione di vetture filoviarie e fu la prima a proporre un nuovo tipo di avviatore, il quale ripeteva «con comando elettronico quanto già realizzato dal ben noto comando MRA», che equipaggiava i filobus FIAT 2401 e tutte le altre vetture attrezzate dalla CGE per l’Italia e per l’estero fino al decennio precedente. La prima sperimentazione avvenne nel 1975 su una vettura tipo FIAT 668F (anno di costruzione 1951) della rete spezzina, che la Mauri & C. aveva dotato di una nuova carrozzeria in alluminio, dall’estetica alquanto simile a quello dei futuri filobus su telaio Volvo.
Ancora lontana dall’elettronica di potenza – che avrebbe visto i suoi esordi alla fine del decennio – la “logica statica” si proponeva di assicurare comunque un migliore confort di marcia, con avviamenti e decelerazioni privi di strappi e minor usura dei componenti meccanici (la frenatura elettrica agisce fino alla velocità di 5 km/h). Occorre ricordare tuttavia che la messa a punto dei filobus di Rimini, con la presenza sul posto di tecnici della Casa costruttrice, fu particolarmente laboriosa: sui primi esemplari la dolcezza di funzionamento, promessa dal nuovo apparato, non sembrava riscontrarsi e si dovette lavorare a lungo per rendere accettabile il controllo dell’accelerazione e della frenatura.
Sul prototipo 1001, il motore di trazione era del tipo CV 1227A (numero di fabbrica 101130) eccitato in serie, con 4 poli principali e 4 ausiliari e sospeso al telaio mediante supporti isolanti. Nei successivi esemplari furono montati motori simili, ottenuti rigenerando (a cura della RETAM di Milano) gli avvolgimenti dei vecchi motori CGE montati a bordo delle vetture filoviarie dismesse. La potenza continuativa di taratura era di 103 kW; nei documenti della Casa costruttrice si dichiara una potenza oraria di 135 kW.


Foto 27:
l dispositivo per la “marcia autonoma” poteva essere impiegato soltanto per gli spostamenti di servizio (il filobus R59 non era dunque un “bimodale”) e constava di un motore Diesel Hatz VU 108NH da 4028 cm3 a quattro cilindri orizzontali, accoppiato con un alternatore MEC GSCA da 33 kVA a 2600 giri. Un ponte raddrizzatore provvedeva a fornire la tensione continua di 150 Volt al motore di trazione, che così alimentato si dimostrò in grado di raggiungere una velocità massima di 30-35 km/h. Purtroppo la rumorosità e le emissioni del motore Diesel non erano all’altezza del binomio-slogan “silenzioso e pulito” che l’ATAM impiegò per promuovere il rilancio del filobus. Ma tant’è… si era ancora negli anni settanta del Secolo scorso e già sembrava un’enorme conquista l’aver escogitato questo espediente per affrancare in caso di bisogno il filobus dalla rete aerea (espediente che, per inciso, non tutte le aziende italiane avrebbero adottato nelle ordinazioni di nuove vetture filoviarie nel decennio successivo).
Dal primo ottobre 1982, giorno di assegnazione dei filobus al nuovo deposito di viale della Repubblica, la trazione autonoma fu impiegata quotidianamente per i trasferimenti tra il deposito e la linea: essa ha sempre dato buona prova nonostante le prestazioni ridotte, per cui ai filobus erano riconosciuti cinque minuti in più che agli autobus nei percorsi a vuoto: gli itinerari solitamente seguiti erano quello dal deposito alla stazione ferroviaria o al capolinea di Rimini e quello, attraverso le vie Fada, Settembrini, Chiabrera e Firenze, per raggiungere la linea in corrispondenza della fermata 21 (colonia Comasca). Entrambi i tragitti sono lunghi circa due chilometri.
Il posizionamento delle aste sulla linea di contatto avveniva manualmente. In casi di estrema necessità, la marcia autonoma è stata talvolta impiegata con passeggeri a bordo, senza alcun problema particolare.
La foto (R.R.) risale al maggio 1981 e mostra una manovra in marcia autonoma a Riccione durante un'interruzione di viale Dante per la ricostruzione del ponte sul Rio Melo.
   
                   
Foto 28:
Anche le aste di presa di corrente ed altri dispositivi, come i contattori e i motocompressori CGE CP 37 (sostituiti nel 1988 con gli Arlet LE7), furono recuperati dai vecchi filobus, a dimostrazione della durevolezza dei componenti per la trazione elettrica.
Il servizio ad agente doppio, inizialmente previsto su tutte le corse, dal 1986 fu limitato al periodo estivo, nel quale continuò fino all’estate 1987. Successivamente venne soppresso il posto del bigliettaio e furono installate a bordo di ciascun filobus ben tre obliteratrici RCS, in sostituzione dell’unica (di produzione Ascot) esistente dal 1979. Dal 1991 la salita dei passeggeri fu stabilita dalla porta anteriore e la discesa da quella centrale, mentre la stretta porta posteriore (formalmente di salita) veniva utilizzata raramente.
Un’altra modifica all’arredamento interno, apportata nei primi anni, riguarda una riduzione dei posti nella parte posteriore della vettura e cioè la sostituzione dei quattro sedili disposti vis à vis sul lato destro con tre collocati “fianco marcia”.
Piazza Tre Martiri, 30 settembre 1989 (foto Pasquini).


Foto 29:
Gli indicatori di percorso anteriori, del tipo a rulli con le iscrizioni stampate su tela plastificata retroilluminata da tubi a fluorescenza (come l’interno della vettura), furono semplificati a fine anni ottanta (restarono solo i rulli con i numeri di linea) e sostituiti nel 1996 con display luminosi a led color ambra di produzione Aesys.
Qui vediamo la vettura 1012 già con l'indicatore a led e le insegne "Tram Rimini" in transito davanti al Tempio Malatestiano (foto R.R.) il 22 giugno 1998.


Foto 30
Il filobus 1001 fu tolto dal servizio e parzialmente demolito nell’anno 2003; negli anni successivi, per guasti o altro, furono accantonate ulteriori quattro vetture (nell’ordine 1002, 1007, 1010, 1006): nell’ultimo anno di servizio restavano pertanto attive dodici unità (per la storia, l’ultima unità a rientrare in deposito, la sera del 14 settembre 2009, è stata la 1012).
Infine merita un cenno la circostanza che fino al 1984 tutti i filoveicoli italiani erano privi di targa: analogamente ai tram, si riteneva sufficiente per la loro individuazione la matricola aziendale. In quell’anno però un decreto ministeriale (datato 3 dicembre) impose l’adozione di una targa azzurra con impresso il logo dell’azienda proprietaria e contenente la sigla della provincia, abbinata a un numero progressivo a tre cifre. Nello stesso decreto si prevede anche che le aste e gli “arganelli” (retrivers) siano considerati carichi sporgenti e verniciati a strisce bianche e rosse: tutte modifiche prontamente adottate dall’ATAM sulle proprie vetture filoviarie, che da allora furono targate FO da 001 a 017.
La foto (R.R.), presa in quello che è il punto più caratteristico della linea, dove la distanza da terra dei fili di contatto è veramente minima, è del 12 ottobre 2008.


Foto 31: Caratteristiche Tecniche Filobus Mauri-Ansaldo-Volvo "R59" (1976-2009).

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